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In preda allo sconforto, Arval si voltò. In quel momento, un raggio di luce lo raggiunse. Il fascio attraversava la radura sino allo strapiombo di Nant, per poi continuare dritto sino al sole.
Tremante di paura, egli levò lo sguardo al cielo terso, e fattosi coraggio partì al galoppo.
Arrivato nei pressi dello strapiombo egli mantenne lo sguardo alto e non si fermò.
Il vuoto per un attimo, e improvvisamente si trovò sospeso a mezz’aria. Due enormi ali bianche e brune erano spuntate dalle ferite sul dorso, e il suo lungo muso era ora un dorato becco.
A ogni colpo d’ala Arval poteva sentire il confortante calore del Sole avvicinarsi. 
Arrivato a cospetto dei grigi nembi, l’Ippogrifo prese ad agitare le ali senza tregua. Un attimo dopo un vortice di vento si scagliò contro i cumuli e li spazzò uno dopo l’altro oltre la linea delll’orizzonte.
A nessuno il Sole aveva mai permesso di avvicinarsi tanto. L’Ippogrifo chinò il capo al suo cospetto e quando si voltò sette raggi dei colori del prisma indicavano la sua strada di ritorno a Eylon.
Le piogge non cessavano di abbattersi sulle verdi radure di Eylon: le valli erano ridotte a pozze d’acqua, troppi alberi erano ormai caduti, tutta la foresta era ormai in pericolo.
Gli zoccoli inzaccherati di fango, Arval scalò le scivolose rocce e raggiunse il picco delle Aquile. Solo loro avrebbero potuto liberare il Sole.
Ma quelle orgogliose creature si rifiutarono e ferirono con gli artigli il dorso del coraggioso destriero.
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